martedì 10 giugno 2008

Prodi cristiano adulto

Pubblico un articolo apparso su Repubblica il 7 giugno che rende bene l'idea del trattamento che la Cei ha riservato al centro-sinistra prodiano.

Lo sfogo dell'ex premier per il difficile rapporto con la Conferenza episcopale
"Ho avuto l'impressione di scontrarmi con un'opposizione politica"
Prodi: "I leader della Cei sempre contro di me"

di MARCO MAROZZI

ROMA - "Dissi di essere un cattolico adulto. La frase non mi è stata mai perdonata. Con la presidenza della Conferenza episcopale, ho avuto l'impressione di scontrarmi con un'opposizione politica". Romano Prodi cerca di organizzare la sua vita da ex, ma rivive ancora con amarezza il rapporto con uno degli interlocutori a cui teneva di più. La Chiesa cattolica. Le sue difficoltà terribili come capo di un governo di centrosinistra le ha raccontate anche a La Croix, il più grande quotidiano cattolico francese. "Mai sono stato intervistato dall'Avvenire, il giornale italiano di ispirazione cattolica, mentre La Croix mi ha dedicato due pagine nel maggio 2007".

Prodi non è mai stato intervistato non solo dal giornale della Cei, nemmeno - a differenza di Silvio Berlusconi - dall'Osservatore Romano. Organo della Santa Sede.
Le differenze volute bruciano sulla pelle del professore cattolico che il 31 maggio ha festeggiato i 39 anni di matrimonio, padre di due figli, nonno di quattro nipoti. Ha scritto un suo amico dagli anni di Reggio Emilia, Raffaele Crovi, cattolico, intellettuale anche democristiano, in "Nerofumo", profetico romanzo poco prima della morte: "Perché la Curia Vaticana, ai politici cattolici praticanti e osservanti dei comandamenti, preferisce i politici laici, magari puttanieri, ma osservanti".

E Crovi, vaticinando la caduta del governo Prodi, fa rispondere a un monsignore: "Perché i cattolici praticanti, ritenendosi parte della Chiesa, mettono bocca nelle scelte delle autorità ecclesiastiche, mentre i laici, senza far domande, mettono mano alla borsa".
Prodi, che il libro ha ricevuto, scansa i rimandi. Né parla di politica italiana. "Aspettiamo che il polverone si fermi" dice ai pochi fedelissimi superstiti. "Coerenza e discrezione" ripete, sono il suo atteggiamento rispetto alla Chiesa. A La Croix - fra un cenno all'unica udienza da Benedetto XVI e un affettuoso dilungarsi sugli incontri con Giovanni Paolo II - ha raccontato l'amarezza "soprattutto per le critiche delle gerarchie cattoliche quando adottai provvedimenti in favore degli esclusi". "Telefonai anche per dir loro che prima comunque non c'era niente. Non mi hanno risposto".

Rapporto di spine con Camillo Ruini, l'allora presidente della Cei e rimasto potentissimo, anche se da un anno la Conferenza è guidata da Angelo Bagnasco. Il reggiano Ruini fece conoscere e sposò Prodi e Flavia, né fu assistente, ma ruppe per sempre quando, dopo il crollo della Dc, chiese all'allora discepolo di guidare la rinascita di un partito cattolico. Ottenendo un rifiuto da colui che già pensava all'Ulivo. Prodì rivendica quel "cattolico adulto" con cui si definì quando andò a votare nel referendum sulla fecondazione assistita. Non rispettando - pur votando da cattolico osservante - la chiamata di Ruini all'astensione. Richiamandosi piuttosto a De Gasperi che disobbedì a Pio XII che voleva l'alleanza Dc-Msi al Comune di Roma.

I NUOVI BARBARI 3 – “I CARE”

Circa una cinquantina di anni fa, in un piccolo borgo di montagna, sconosciuto e quasi irraggiungibile, un priore determinato e sanguigno inizia a radunare alcuni giovani ragazzi delle campagne in una stanza della sua nuova canonica: nasce la scuola di Barbiana – senza luce, cattedra, lavagna e banchi – e una rivoluzionaria esperienza pedagogica e culturale. Appena qualche giorno fa, nelle milioni di televisioni che arredano le nostre case, si è sentita raccontare la storia di un genitore che ha aggredito il preside di un istituto, il quale si era “macchiato” della tremenda colpa di sequestrare il telefonino – con fotocamera, suonerie polifoniche, lettore mp3 – a suo figlio: muore, sotto l’ennesimo colpo, una stanca idea di scuola ed un’arrugginita istituzione pedagogica.
La provocazione permette di accostare due estremi e farne vibrare le corde: che tipo di cambiamento può esserci stato, a cavallo di questi due episodi, tanto da passare dall’urgenza alfabetismo all’urgenza bullismo, dall’esigenza di insegnare l’arte dello scrivere e del parlare a quella di debellare continui casi di violenza verbale e non solo, dalla scuola privilegio di pochi alla scuola obbligo disinteressato di tutti? Una vera e propria invasione barbarica, che ha portato con sé disimpegno, disillusione e distruzione di ogni gerarchia: dall’autorità del preside all’autorevolezza degli insegnanti; dal prestigio del sapere al valore dell’apprendere.
In quella piccola stanza di Barbiana, don Lorenzo Milani – di cui ricorrono quest’anno i quarant’anni dalla morte – in una parete aveva fatto scrivere “I care”, ovvero “mi interessa, mi sta a cuore”; nelle molte aule tecnologiche delle nostre scuole, dove le lavagne iniziano a cedere il posto ai computer e i cellulari costituiscono spesso l’unico strumento di comunicazione, l’interesse scompare, annientato da individualità oltraggiosamente in grado di lasciarsi scorrere addosso tutto, senza appassionarsi a nulla.
E proprio l’”interesse” è forse una delle tante possibili chiavi di interpretazione che permettono di collocare questi fenomeni degenerativi, che coinvolgono la scuola, nella cornice più ampia della crisi delle autorità. Tutti i dizionari ne parlano fondamentalmente in tre sensi: l’interesse come passione ed impegno; l’interesse come condivisione e partecipazione; l’interesse come tornaconto personale. Ebbene, i molti casi che negli ultimi mesi ci hanno raccontato di bulli e sconcezze rivelano in realtà una sporgenza dell’ultima accezione sulle prime due: una crisi, cioè, dello stare insieme (inter-esse) e della dedizione (interessamento) e una preminenza totalizzante del mero “libertino” vantaggio egoistico. Si assiste così al frantumarsi del valore pedagogico e formativo dell’insegnante e della piccola comunità che è la classe, embrionale occasione per sperimentarsi in relazione con gli altri; il coinvolgimento di tutti cede alla convenienza di ognuno; la condivisione di un progetto di crescita è sconfitto da una fasulla e fittizia tutela del singolo; il professore perde la propria aurea sacrale, tanto da divenire complice nel vizio o vittima nell’oltraggio; i genitori scarnificano la concezione di ciò che è bene per i propri figli, la cui maturazione non passa più attraverso il rispetto di alcuni doveri, quanto piuttosto per il sempre più ampio diritto a tutto.
Un giovane studente napoletano ha recentemente inviato un messaggio ai quotidiani, rivendicando l’attenzione per la buona “scuola che c’è”, chiedendo di non far vincere la “non scuola” spettacolarizzata dai media: ma tutti gli altri che cosa sarebbero oggi in grado di scrivere nella loro moderna e tecnologica “lettera ad una professoressa”?