mercoledì 29 settembre 2010

FINI E VELTRONI: IL VINCOLO DELLA “REALPOLITIK”

Le ragioni di una crisi oramai sotto gli occhi di tutti che attanaglia la nostra politica nazionale e la sua miserevole classe dirigente sono a mio avviso molteplici e ben più profonde di quanto il gossip e il killeraggio dossieristico (vedi Fini-Berlusconi) o le dispute personali e personalistiche (vedi Veltroni-D’Alema - ops, Bersani) possano mascherare e meritano ben altro spazio di approfondimento, pur ruotando attorno ad un nodo che inizio ad avere molto chiaro: la totale inadeguatezza progettuale dei nostri politici e l’abissale sproporzione tra le proposte (miopi, tappabuchi e non riformatrici) e la situazione drammatica del nostro paese (uno stile di vita totalmente sovraelevato rispetto a quanto i conti pubblici possono permettere).
Vorrei però in quest’occasione soffermarmi alla superficie per evidenziare, non paradossalmente, come già a questo livello si percepisce uno smarrimento completo della bussola del bene comune e la degenerazione di un’etica pubblica e politica che ha perso la capacità di essere coerente fino in fondo. E lo faccio evidenzando i limiti delle posizioni di due figure che in questo momento della nostra storia politica hanno la ribalta della cronaca nelle vesti di “censori” rispettivamente della cattiva via intrapresa da un lato dalla maggioranza e dall’altro dalla minoranza: Fini e Veltroni.

Perché sull’affaire Fini sembrano avere tutti ragione
La cosa strana di tutto ciò che, in questo periodo, ruota attorno a Gianfranco Fini, di cui non posso che stimare il tentativo di dare un nuovo volto (e spero corpo) alla destra del nostro paese e di cui non posso che accogliere con piacere una critica concreta e solida non a Berlusconi ma al berlusconismo (peccato che i semi di questo nuovo costume sono, dopo quindici anni, tanto diffusi da fagocitare numericamente anche lui), è che sembra che tutti abbiano ragione. Hanno ragione, nei contenuti, i suoi adepti di Futuro e Libertà; hanno ragione, in alcune richieste di chiarimento, alcuni dei suoi “nuovi” nemici del Popolo della Libertà; ma, paradossalmente, hanno tanto più ragione due figure tra loro lontanissime, Mario Campi (ideologo di Fare Futuro) e Antonio Di Pietro (padre dell’Italia dei Valori), che condividono un medesimo appello: lasci la presidenza della camera e si senta libero di dare seguito a ciò che predica. La rivendicazione di una purezza di ideali si mescola infatti in questo caso ad un realismo politico che qualche interrogativo lo pone: se possiamo infatti accettare che il recente passato di Fini sia stato una machiavellica convivenza forzata con Berlusconi per ottenere spazio, tempo e microfono al fine di costruire e rendere visibile una destra alternativa (il fine giustifica i mezzi), può questo meccanismo valere ancora? Può cioè il nostro Presidente della Camera spingersi alle dichiarazioni che ha fatto nei confronti di Berlusconi (politiche, etiche, economiche) e convivere ancora con lui? Nel momento in cui rivendica una supremazia della sua etica pubblica, non può scinderla da una presa d'atto e da una presa di posizione vera che culmini con una scelta altrettanto chiara: se Berlusconi è quello che lui ora dipinge come può essere alleato di chi gestisce, a suo dire, società offshore e faccendieri in Sud America? Certo che l’Italia ha bisogno di stabilità come altrettanto certo è che occorre essere fedeli ad un chiaro mandato elettorale: ma il bene comune e la purezza degli ideali, al cospetto di un male tanto sventolato e attaccato, non viene prima anche di tutto ciò?

Dal sacrificio è risorto solo Gesù
Nonostante alcuni passaggi potessero farlo immaginare (“non farò agli altri ciò che hanno fatto a me” sa di una invidiabile ripresa della Regola d’Oro così come nel Vangelo è ripresa e attualizzata), Walter Veltroni deve capire che non è la re-incarnazione di Gesù. Al di là della battuta, quasi blasfema, che intendo dire? Penso che, al di là del fatto che il suo gesto di qualche mese fa (quando ha lasciato la segreteria del PD) sia da intendesri come suicidio politico o come sacrificio (io tendo ancora fiduciosamente a propendere per la seconda), egli ha in quell’occasione ucciso una sua precisa presenza pubblica e un suo chiaro ruolo dentro al PD, che non può pensare di riproporre: il suo gesto è stato un gesto ultimo, ultimativo e definitivo, dal quale non si torna indietro; dal sacrificio non si resuscita. Fuor di metafora: a Veltroni spetta il diritto di dire la sua nelle molte sedi istituzionali del partito che ha modo di frequentare, a Veltroni spetta di avere un’opinione su quella che deve essere la rotta del partito di cui è importante parlamentare, ma non spetta più di parlare da leader, di smuovere le acque di correnti o pseudo-correnti rispetto alle quali non può più rivendicare un ruolo ufficiale, non spetta più di tornare ai vecchi giochi da cui è voluto uscire e, se anche il suo sacrificio non ha avuto l’esito che sperava, il suo gesto rimane e deve restare coerente con esso. Certo che il Pd ha bisogno di una nuova marcia e di un nuovo scatto altrimenti il progetto è destinato a morire, senza essere mai nato veramente: ma anche in questo caso il bene comune del partito e la purezza di precisi ideali alla base di una progettualità alta, al cospetto di un'inerzia criticata e attaccata, non viene prima delle solite becere lotte per la leadership?

Come mai allora persino chi si candida a purificare la politica dalle sue derive personalistiche (Fini nel caso del Presidente del consiglio) o dai sui limiti partitici (Veltroni nei confronti di un Segretario che ha fin qui deluso) finisce per ricadere nel circolo vizioso di una “realpolitik” che sembra rendere impossibile, nei loro casi, essere coerenti fino in fondo e inaugurare una strada nuova, che sia un partito magari non ancora in grado di vincere le elezioni (Fini) o un confronto lontano dai giornali, ma capace di portare risultati veri, fuori da ogni disputa vecchia e logora (Veltroni)?

lunedì 13 settembre 2010

MA CHE MUSICA MAESTRO!!


Pubblico in versione integrale la testimonianza scritta dai ragazzi (giovani e giovanissimi di Ac di Grottazzolina e Potenza Picena) che hanno partecipato al campo di servizio a Pizzoli (AQ) dal 10 al 14 agosto scorso. Il testo è tratto dalla newsletter di Agosto della Caritas (gemellaggio Chiesa Marche Chiesa Abruzzo). Aggiungo un grande grazie a Giulia e Noemi.
Ps. La foto è di mio cugino Marco (che classe!!)


Direttamente dalle migliori sale di incisione marchigiane il gruppo di A.C. di Grottazolina e tre ragazzi dell’AC di Porto Potenza, ribattezzati dopo le performance che hanno deliziato Pizzoli e dintorni ‘Il coro di Piero’, hanno vissuto cinque giorni a Pizzoli. Ragazzi, animatori, sacerdoti e mamma-cuoca Graziella hanno condiviso con la popolazione del posto momenti di servizio e un cammino di riflessione e preghiera.
Ecco la loro testimonianza.


Presentiamoci: siamo venti ragazzi dell’Azione Cattolica delle Marche, e siamo venuti a trascorrere cinque giorni al servizio della Caritas a Pizzoli. “Adesso ognuno dica perché ha deciso di partecipare a questa esperienza e cosa si aspetta.” Questa la difficile domanda del sacerdote che ci ha accompagnato, poche ore prima di arrivare a L’Aquila.
Be’, sono uscite le motivazioni più varie: chi perché voleva dare una svolta all’abitudine di ogni giorno, vivendo la gioia di donarsi agli altri, chi per vedere direttamente la realtà di un popolo ferito nel più profondo e chi era partito e basta, senza tanti perché o troppe aspettative. Dopo cinque giorni eccoci qui, a dover lasciare Pizzoli e l’ Abruzzo e a chiederci cosa ci abbia lasciato quest’esperienza.
Ci siamo impegnati in diversi modi: con i bambini al GREST di Arischia, a Cagnano, e
all’asilo di Barete, con gli anziani ai MAP e con la comunità animando le celebrazioni. La paura di sbagliare era tanta, ma i bambini e gli anziani che abbiamo conosciuto sono stati aperti e disponibili nei nostri confronti, segno che la nostra presenza era bene accetta.
Sapevamo che il nostro servizio non era caratterizzato certamente dalle competenze pratiche delle Protezione Civile o della Croce Rossa, ma è stato guidato dalla pa-
rola del Vangelo e dall’amore che ne scaturisce. Sicuramente torniamo a casa con la gioia di aver fatto un tratto di cammino insieme a nuove persone e con la felicità che nasce dal mettersi a disposizione degli altri, senza la pretesa dei grandi gesti o di aver compiuto grandi azioni; solo con la consapevolezza qui maturata, dell’importanza dei gesti semplici e quotidiani, del farsi prossimo nelle tante piccole cose che compongono la nostra vita.
Ciò che ci rimane dentro sono sicuramente i sorrisi dei bambini, la luce negli occhi della gente, le parole gentili delle persone che abbiamo incontrato, la disponibilità delle volontarie Caritas e soprattutto il desiderio di restare ancora.
Non sappiamo se il nostro servizio verrà ricordato, ma abbiamo capito che è servito
per rendere migliori questi giorni.

Andrea, Chiara, Damiano, Gaia, Francesco, Letizia, Lucia, Lucrezia, Marco, Mattia, Stefano, Tommaso

venerdì 10 settembre 2010

I RITI DI DEGRADAZIONE E L’ANNULLAMENTO DELLA SPERANZA 1: PRESENTE SENZA FUTURO

C’è una cosa che in questo momento della mia vita mi segnala in maniera oppressivamente concreta quanto l’essermi sposato e l’aver creato una famiglia (fatta la tara alla grandiosa bellezza della cosa in sé) mi abbia oramai proiettato nell’età adulta (oltre il fatto di aver superato i trenta): un bel pizzico di paura del futuro; ma c’è una cosa che in questo momento della mia vita mi aiuta tragicamente a pensare che, nonostante mi sia sposato e abbia creato una famiglia, nonostante mi senta adulto (e abbia superato i trenta), tutto sommato sono ancora giovane: la luce accecante del presente. Sull’adulto pesa infatti “per antonomasia” la consapevolezza di una crescente responsabilità nei confronti del domani, non più solamente il "proprio" domani; il giovane vive, “cromosomicamente”, nel gusto dell’oggi e nel coraggio dell’imprevisto, molto concentrato sul "proprio" vissuto. Solo che la mia paura del futuro ha ben poco del fisiologico e costruttivo (come dovrebbe essere) e la luce accecante del presente somiglia per nulla alla chiarezza delle possibilità (quanto piuttosto risulta vicina ad una cecità da abbaglio).
Se poi faccio un passo avanti e mi azzardo a coniugare queste due dimensioni – fosse solo per non pensare di avere un’identità schizofrenica – mi rendo miseramente conto che questa strana convivenza è poco naturale e soprattutto poco sana: questa società sta infatti costringendo i giovani adulti della mia generazione a dimenticarsi del fatto che stanno crescendo e a convincersi di poter restare giovani; il tutto non grazie a miracolose creme rivitalizzanti, a mode colorate e sportive o a utopiche formule anti-age, ma perché sta frullando, in un mix tremendo e agghiacciante, l’ossessione dell’oggi con la necessità di non dovere pensare a domani. Se il giovane, per “deformazione professionale” non è portato ad interrogarsi sul suo futuro, e potrebbe quindi trovarsi a proprio agio in questa condizione, all’adulto che gli si sta accostando e cerca di convivere per un pezzetto di strada con lui è oggi impedita questa possibilità: ci è stata resettata la fiducia nel domani e cancellata la speranza nel futuro, e questo al di là della contingenza esistenziale della nostra condizione umana.
Un paio di generazioni or sono, e quindi anche cronologicamente qualche decennio fa, i miei genitori, allora bambini, sono cresciuti in condizioni che costituiscono spesso oggetto di racconti tali da sembrare quasi mitici tanto paiono lontani e diversi dalla nostra realtà quotidiana (povertà, sacrifici, essenzialità): ma a quella generazione è stata data l’occasione di mettersi alla prova per tentare di costruire il futuro proprio e dei propri figli. La mia generazione è cresciuta invece all’interno di una bolla di sviluppo economico che l’ha protetta e viziata ed oggi inizia a toccare con mano quanto il nostro stile di vita sia stato sproporzionato rispetto a quanto potevamo e possiamo tuttora permetterci. Quale la conseguenza? Che il nostro presente è un presente di affannosa e continua ricerca di una sistemazione lavorativa o di una nuova collocazione lavorativa, vittime di una flessibilità che ci è stata presentata come la panacea di tutti i mali e che è diventata invece l’ultima e unica possibile schiavitù pensabile nell’età della difesa dei diritti umani; che il nostro futuro è tragicamente costretto ad essere declinato molto spesso al singolare, laddove si riesce a progettare, immaginare, pianificare. Non è certo nella mia indole la presunzione di voler avere una vita già scritta o dettagliamene prevista, ma desidererei un’esistenza che preveda il diritto di guardare al futuro con fiducia; non è nel novero dei miei obiettivi vedermi regalata una vita piena di successi o di agio, ma, da marito, desidererei che mi fosse consentito di vivere da padre senza dover pensare con affanno e vergogna a ciò che lascerò ai miei figli.
E’ vero, ci sono valori e sentimenti da trasmettere e affidare in eredità, come c’è, per chi ci crede, una Provvidenza a cui affidarsi, che spesso scompagina e riordina le situazioni di vita, ma gradirei che questo presente potesse essere anche una semina per far raccogliere altri, mentre al momento è uno scavo esasperato nel fondo di un fondo già scavato; gradirei avere motivi per coltivare una fiducia che non sia utopica o irrealistica, ma fondata e argomentata; gradirei, in buona sostanza, che la tridimensionalità del volume temporale delle nostre vite si riordinasse secondo la dignità che le compete: un passato da cui imparare, un presente in cui investire, un futuro di cui essere serenamente responsabili.

giovedì 9 settembre 2010

PICCOLO DISPERATO DIZIONARIO DEMAGOGICO DELL’UNIVERSITA’ - LETTERE "I", "L", "M", "N"

Pubblico "a puntate" un testo meraviglioso che mi è capitato sotto mano, che mettendo a frutto la dote unica dell'ironia, ci regala una pittura dello stato di degrado dell'italico mondo accademico.

Avvertenza
Si propone all’attenzione del pubblico un nuovo e pratico ausilio lessicale, pensato e realizzato per venire incontro alle esigenze delle giovani generazioni, che si sono trovate ad affrontare la bagarre della protesta senza un efficace supporto terminologico. Gli autori nutrono qualche speranza che i lettori comprendano che il Piccolo Dizionario diventa tanto più demagogico quanto più essi stessi sono disperati. E, comprendendo, perdonino.
(G. Azzena, M. Rendeli)

inganno, fatta la legge trovato l’:
a) cervelli, rientro dei:
della corsa al rientro hanno fatto parte anche studiosi che hanno lasciato il nostro paese consapevolmente e hanno creduto di poter
rientrare senza il forte appoggio delle alte sfere; ma ora il rientro sembra essere più volgarmente la soluzione ottimale per duchi e rettori che, in suo nome, possono far rientrare, quasi totalmente a spese del ministero, fidi scudieri che hanno trascorso un periodo (tre anni, ma non continuativi…) di ricerca all’estero, senza farli passare dalle “forche caudine” del concorso (v.);
b) fama, chiara: operazione di cooptazione di uno studioso che abbia recato un contributo vitale alla scienza, e che sia colto, fascinoso, talentuoso, geniale, militesente, possibilmente bella presenza. Stante la perdurante latitanza di persone di questo tipo (che, se esistono, certamente
non hanno nessuna interesse a fare il professore universitario), tutta l’operazione consiste nell’assumere direttamente e senza tante storie qualche amico di duca (v.). Cfr. (ma solo per i lettori più acuti) “turn-over”.

investimento: il termine indica i soldi che ogni docente investe (de sua pecunia, dicevano le iscrizioni latine…) per fare ricerca, pagarsi le trasferte, confrontare le proprie idee con altri studiosi, partecipare a convegni et similia. Oppure: incidente stradale che normalmente vede
coinvolti un autoveicolo e un pedone. Non risultano da molti anni altre tipologie di
investimenti.

istituzione: animale mai esistito o altrimenti da molto tempo estinto. Il termine è però tuttora in uso, anche se in forma traslata e in ambienti snob, ad indicare l’Università in quanto tale, cioè quella che non serve a riprodurre docenti (v. Lodge, legge di) ma a produrre cultura e progresso (scientifico e umanistico). Nel nostro paese, come nelle società aristocratiche di tempi remoti, la
preminenza di famiglie eminenti (v. duchi) rende però tale sovrastruttura (e conseguentemente anche il termine che la indica) del tutto inutile: ciò provoca una escalation nella personalizzazione e nella creazione di costellazioni delle più diverse forme di potere interne al sistema (facoltà, dipartimenti, corsi di laurea, centri di eccellenza ecc. ecc.). Caratteristica è la loro non riproducibilità in caso di cessazione o assenza (per trasferimento, pensionamento o quant’altro) dell’aristocratico di riferimento. Il confronto con altre galassie (università europee o americane) è inutile e fors’anche dannoso.

laurea: sinonimo di perdita di tempo, frapposta tra l’individuo e le mete più agognate (v. “calciatore/velina”,“SUV”); valore legale della: qualcosa da abolire con grande urgenza per rendere più felici le università private.

lenticchie, piatto di: unità di misura premonetale con la quale i vari Governi (compreso l’ultimo) hanno comprato il consenso delle tribù universitarie. Alle lenticchie si accompagna, oltre alla classica cipolla, un sistema sicuro di controllo dei concorsi a cattedre: elezione, elezione ed estrazione, estrazione da una lista di votati, votazione di una lista di estratti, estrazione di votati da una lista di estratti, liste di votanti estratti, estrazione di liste votanti… come sia sia: l’importante è mantenerne comunque saldo il controllo. Anzi, sempre più saldo, come ben dimostrano i commi 4 e 5 dell’art. 1 del decreto Gèlmini.

Libro Iniziatico della Valutazione: Esattamente come il Necronimicon è un libro inesistente, ma al quale tutti fanno riferimento come se esistesse. Conterrebbe, secondo gli alchimisti, la formula per valutare qualsiasi “prodotto” della cultura, specie se di ambito universitario: dalla presenza o meno dei cancellini nelle aule fino al numero medio di scarpa dei membri del Senato
Accademico, ogni attività che possa svolgersi in un Ateneo è ivi contemplata e
comparativamente valutata. Sono famosi i falsi: quello del Necronomicon, comparso nel 1941 sul catalogo di Philip Duchesne libraio in New York, e quello del L.I.V., messo in vendita su eBay da tal Jiao Tong, antiquario-bibliofilo di Shangai.

Lodge, legge di: legge che presiede alla riproducibilità dell’ultima casta (il c.d. vastupurusamandala della prima fascia - v. docenza, tre fasce di), teorizzata e materialmente testata nel volume di D. Lodge, Il professore va al congresso, Bompiani, Milano 2002. In essa si dimostra come un ordinario scelga un successore mediamente meno dotato di lui per poterlo controllare: ciò porta alla creazione di una catena di progressivo rimbecillimento della figura
fino a quando, in fondo a essa, il docente non si accorge di aver scelto un Einstein… e la catena ricomincia. Ogni riferimento alle teorie vichiane (corsi e ricorsi…) è inutile perché incomprensibile ai più.

L.U.I.S.S., Libera Università Internazionale degli Studi Sociali: ateneo privato che dal 1974 sostituisce l’Università Internazionale degli Studi Sociali Pro Deo, fondata da Padre Felix Andrew Morlion nel 1946; la pronuncia "Liuiss" è più frequente nel linguaggio corrente, specie in
quello delle mamme dei giovani frequentanti, per fraintendimento fra l’acronimo italiano (vaticano) e una parola in lingua inglese.

Marcegaglia Emma, commenti positivi sulla riforma Gelmini. Questa voce è stata erroneamente trasferita su questo Dizionario dalla “Rubrica del Chissenefrega”.

merito, meritocrazia: vocabolo-muro (del tipo: “buco dell’ozono”, “innalzamento della temperatura terrestre”, “cucciolo di foca”) contro il quale si può solo battere la testa. Ti ci devi fermare davanti e arrenderti alla sua solidità mediatica e retorica, anche perché se dici che di veri geni non ne hai mai conosciuti e che forse bisognerebbe capire che cos’è esattamente “merito” dentro le università, o sei con piena evidenza uno “sfigato immeritevole”, o sei
Fabrizio De Andrè (e questo non può essere).

moduli, modulistica: (v. progetto). Strumentazione atta principalmente “a trovare soldi”, ma funzionante anche in altri campi della cultura (v.) e della vita universitaria. La “complessità” ne è parte integrante e condizione essenziale. La progressiva evoluzione della complessità
(inversamente proporzionale alla quantità dei fondi erogati) è stata nel tempo curata dal benemerito U.C.A.S.E.S.I: malgrado questo Ufficio lavori per il bene del Paese da molti anni, non se ne conosce l’indirizzo, ma si può dire che l“Ufficio Complicazione Affari Semplici E Spesso Inutili” abbia filiali ovunque. Storia. I moduli-per-trovare-soldi (v. docente) nell’antichità constavano di due pagine e una decina di spazi compliabili (nome, cognome, oggetto della ricerca, soldi necessari, firma…); oggi i ponderosi tomi di istruzioni che li accompagnano contengono indicazioni del tipo: per ottenere il finanziamento ti inoltrerai nella palude di Gondrurf,
e attraverserai il paese degli elfi, per giungere alla porta scarlatta di Bendramalius, ove è l’Antico Guardiano… (per il bene del Progetto occorre immaginare la frase letta da Gianni Musy che, per chiarezza, è il doppiatore di Albus Silente).

normalista: talora un minimo più simpatico del bocconiano (v.).