Proviamo a fare un esperimento mentale - tra l’altro nemmeno troppo complicato in teoria, ma forse divenuto improponibile oggi nel nostro paese – e cerchiamo di ragionare su un episodio e su un personaggio, senza scadere nelle pieghe del caso singolo (e quindi mettendo da parte ogni giudizio personale e ogni chiave di lettura ideologica o partitica), anzi provando ad “universalizzare” il discorso, a renderlo esemplare e paradigmatico: il caso è l’imminente crisi di governo e il personaggio è l’on. Clemente Mastella. Senza finire intrappolati nella sabbie mobili, da un lato, della questione giudiziaria che ha coinvolto la famiglia del leader dell’Udeur e, dall’altro, degli scricchiolii continui della maggioranza di governo, l’idea, lontana da ogni forma di accanimento mediatico, è quella di provare a leggere il passo compiuto da Mastella e le sue possibili conseguenze come la metafora migliore e più efficace per rendere d’un colpo tutte le storture della nostra politica.
Il primo livello lo potremmo definire “vengo prima di tutto il resto”: si può decidere di posporre alle pur gravi vicende che affliggono la propria famiglia il bene di un intero paese? E’ accettabile che per una mera questione di “solidarietà” (come senza troppa vergogna è stato candidamente ammesso in pubblico) si decida di affossare una maggioranza e la governabilità di un paese? E’ ammissibile che un uomo politico, esattamente nel giorno in cui le borse di tutto il mondo hanno segnato una delle crisi più gravi degli ultimi cinquant’anni, non abbia lo spessore di avvertire la gravità del passaggio storico e sentire il peso di una scelta, che inevitabilmente finisce per aggravarne la situazione, pur se magari solo nel nostro miserello paese? Se la sfiducia nei confronti della nostra classe dirigente va scemando, siamo obbligati a non stupirci più: gli esempi che arrivano d'altronde sono questi, in cui perennemente le esigenze di regolare la quotidianità dei governati vengono poste in secondo piano rispetto ai bisogno di soddisfare le singolarità dei governanti.
Il secondo livello potrebbe essere raffigurato così: “se non c’è più il contenuto perché dovrei badare alla forma”? Abbiamo assistito ad un membro della maggioranza di governo che ha deciso di aprire la crisi di governo al termine di un ufficio tecnico del proprio partito e che l’ha motivata in uno studio televisivo: l’anomalia del primo passaggio consiste “semplicemente” nel fatto che, come dire, l’on. Mastella si sarebbe dovuto limitare ad annunciare il proprio allontanamento e non la morte di un esecutivo, che non spetta, per titolarità e merito – o demerito – a lui; la gravità inaudita del secondo passaggio è evidente agli occhi di tutti – o, oramai, di nessuno: si può accettare che la televisione sostituisca il parlamento? Come si può concepire che non si esponga in aula, di fronte ai propri colleghi, ma al cospetto delle telecamere e dei giornalisti le ragioni – presunte tali – di una decisione così grave? Non è questione di stile o puro formalismo, ma la testimonianza che la volgarità dei costumi ha attecchito anche tra chi dovrebbe regolarli.
Penultima “figurina”: “amici come prima”! Quale coerenza ci viene testimoniata e quanto veniamo ritenuti – o realmente siamo – incapaci di capire, ricordare e giudicare, se una opposizione allo sbando fino a qualche settimana fa – giorni e non anni –, divisa su questioni di merito e di metodo, venuta a parole, allontanatasi praticamente su tutto, all’improvviso, odorando le ceneri di una prossima scottatura del governo, ritorna compatta all’improvviso e complessivamente? Capisco la misericordia cristiana e posso anche immaginare che la lezione del figliol prodigo sia tenuta a mente da chi rivendica e ostenta la propria cristianità, ma le diversità non scompaiono in una notte, le contrapposizioni non si risolvono grazie alla conferenza stampa di qualcun altro, le agende politiche e le alleanze non si realizzano lucrando sul cadavere di una maggioranza.
Infine, forse il problema più strutturale: “le regole regolano”? Mettiamola giù così, senza farla troppo per le lunghe: il problema è a monte e valle. A monte vi è un sistema che permette ad ogni politico che non sia d’accordo su qualcosa con i propri colleghi di partito di non dover più affrontare la scalata ardua del dibattito democratico interno e delle altrettanto democratiche votazioni interne, ma di dissentire – per carità non fosse mai che non ne abbia il diritto –, ma subito dopo di fuggire e creare un nuovo partito, un nuovo soggetto, un nuovo statuto, un nuovo protagonista, un nuovo vincolo alla governabilità del paese. A valle vi è un sistema elettorale che oggi probabilmente permetterà che il governo sia salvo alla camera e muoia in senato, che l’esecutivo cada, pur rimanendo di diritto in piedi su una delle sue gambe. Tutto ciò regola cosa? Permette cosa? Solo che si alimenti il circolo di calcoli interni e si dimentichino le vere esigenze del paese.
Come tutta questa vicenda, nuovamente e tristemente, dimostra.
Luca Alici
Analisi del 2015
8 anni fa
Nessun commento:
Posta un commento