sabato 2 febbraio 2008

Tacere non è rispetto

Riporto, trascritto, e quindi tagliato - visto che non se ne trova ancora una versione "informatica" - uno degli "schiaffi buoni" di Don Milani, da meditare

«L’opinione pubblica attribuisce ai cattolici di destra lo strano privilegio d’apparire quelli che viaggiano sul sicuro saldamente agganciati alla roccia della Chiesa […] Le cose non sono così semplici. La via che conduce alla Verità è stretta e ha da ambo i lati precipizi. Esistono eresie di sinistra ed eresie di destra. Il fatto che qualche importante cardinale penda verso le eresie di destra non dà ad esse patente di ortodossia. Siamo nella Chiesa apposta per sentirci serrare dalle sue rotaie che ci impediscono di deviare tanto in fuori che in dentro […] Se questa tranquillità la Chiesa non ci potesse dare non meriterebbe davvero star con lei. Si potrebbe andare a brancolare nel buio della libertà come i lontani. Così stando le cose io non mi spiego come voi cattolici di sinistra siate ancora tanto timidi di fronte ai cardinali. Forse è che mancate di quadratura teologica […] Esigete dunque un trattamento di parità. Siete figlioli devoti della Chiesa voi e loro, per quanto dissenzienti loro da un cardinale voi da un altro […] La Dottrina dice che il Papa è infallibile. Eretico è chi lo nega ed eretico è chi estende ad altri questo attributo. Non vedo poi argomenti per attribuire maggior dignità all’eresia per eccesso che a quello per difetto. Cattolico è dunque chi si ricorda che i cardinali e i vescovi son creature fallibili. Eretico chi mostra per loro un rispetto che travalica i confini del nostro Credo. Caso mai, se proprio una distinzione si volesse fare ci sarebbe solo da dire che tra due tendenze egualmente ereticali, l’eresia per eccesso ha l’aggravante d’essere ostacolo al ritorno dei lontani. Si può avvicinarsi alla Chiesa se essa con rigore dogmatico chiede al neofita solo ciò che ha il diritto di chiedergli. Non a una Chiesa in cui si debba sottostare giorno per giorno alle opinioni personali e agli umori di ogni cardinale. Noi la Chiesa non la lasceremo perché non possiamo vivere senza i suoi Sacramenti e senza il suo Insegnamento. Accetteremo da lei ogni umiliazione […] ma ce lo dovrà dire il Papa con atto solenne che ci impegni nel Dogma […] E fino a quel giorno vivremo nella gioia della nostra libertà di cristiani. Criticheremo vescovi e cardinali serenamente visto che nelle leggi della Chiesa non c’è scritto che non lo si possa fare. Il peggio che ci potrà succedere sarà d’essere combattuti da fratelli piccini con armi piccine di quelle che taglian la carriera. Ma son armi che non taglian la Grazia né la comunione con la Chiesa. Il resto tenteremo di non contarlo. […] Criticheremo i nostri vescovi perché vogliamo loro bene. Vogliamo il loro bene, cioè che diventino migliori, più informati, più seri, più umili. Nessun vescovo può vantarsi di non aver nulla da imparare. Ne ha bisogno comme tutti noi. Forse più di tutti noi per la responsabilità maggiore che porta e per l’isolamento in cui la carica stessa lo costringe. E non è superbia voler insegnare al vescovo perché cercheremo ognunoi di parlargli di quelle cose di cui noi abbiamo esperienza diretta e lui nessuno. L’ultimo parroco di montagna conosce il proprio popolo, il vescovo quel popolo non lo conosce. L’ultimo garzone di pecoraio può dar notizie sulla condizione operaia da far rabbrividire dieci vescovi non uno. L’ultimo converso della Certosa può aver più rapporto con Dio che non il vescovo indaffaratissimo. E il vescovo, a sua volta, ha un campo in cui può trattarci tutti come scolaretti. Ed è il Sacramento che porta e quelli che può dare. In questo campo non possiamo presentarci a lui che in ginocchio. In tutti gli altri ci presenteremo in piedi. Talvolta anche seduti e su cattedre più alte della sua. Quelle in cui Dio ha posto noi e non lui. L’ultimo di noi ne ha almeno una di queste cattedre e il vescovo davanti a lui come uno scolaretto. E qualche volta, credimi, c’è bisogno urgente di trattarlo così! Non è forse come un bambino un cardinale che ci propone a esempio edificante un regime come quello spagnolo? Non c’è neanche da arrabbiarsi con lui. Diciamogli piuttosto bonariamente che non esca dal suo campo specifico, che non pretenda di insegnarci cose di cui non ha nessuna competenza. Non l’ha di fatto e non l’ha di diritto. Ne riparli quando avrà studiato meglio la storia, visto più cose, meditato più a fondo, quando Dio stesso gliene avrà dato grazia di stato. Oppure non ne parli mai. Non è da lui che vogliamo sapere quale sia il tenore di vita degli operai spagnoli. Son notizie che chiederemo ai tecnici. Di lui in questo campo non abbiamo stima. Lo abbiamo anzi sperimentato uomo poco informato e poco serio. La vita di un vescovo! Io ne so poco, ma me la posso immaginare perché conosco qualche sacerdote importante e anche qualche grosso militare e qualche grosso primario di ospedale. Parallelo al crescendo di importanza un crescendo di isolamento […] Passa per il mondo senza toccarlo. Non abbastanza alto per essere illuminato dal Cielo. Non abbastanza basso per insozzarsi la veste o per imparare qualcosa. Fa errori puerili, s’intende di tutto, giudica la storia, la politica, l’economia, le vertenze sindacali, il popolo con la beata incoscienza di un infante, con l’innocente pretenziosità del generale di armata o del contadino di montagna. È appunto come il generale di armata e come il contadino di montagna un uomo cui nessuno fa scuola. Un infelice. E tanto più è un infelice per il fatto che nel frattempo perfino i laici cattolici hanno aperto un po’ di occhi. Loro che il muro di incenso non proteggeva dai morsi della storia [...]. Un prigioniero bisogna aiutarlo e liberarlo, e tanto più quando è prigioniero il nostro padre. se non gli sbraneremo il muro di carta e non gli dissolveremo il muto di incenso Dio non ne chiederà conto a lui ma a noi. Ci toccherà rispondergli di sequesetro di persona» (continua…)

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