martedì 10 giugno 2008

I NUOVI BARBARI 3 – “I CARE”

Circa una cinquantina di anni fa, in un piccolo borgo di montagna, sconosciuto e quasi irraggiungibile, un priore determinato e sanguigno inizia a radunare alcuni giovani ragazzi delle campagne in una stanza della sua nuova canonica: nasce la scuola di Barbiana – senza luce, cattedra, lavagna e banchi – e una rivoluzionaria esperienza pedagogica e culturale. Appena qualche giorno fa, nelle milioni di televisioni che arredano le nostre case, si è sentita raccontare la storia di un genitore che ha aggredito il preside di un istituto, il quale si era “macchiato” della tremenda colpa di sequestrare il telefonino – con fotocamera, suonerie polifoniche, lettore mp3 – a suo figlio: muore, sotto l’ennesimo colpo, una stanca idea di scuola ed un’arrugginita istituzione pedagogica.
La provocazione permette di accostare due estremi e farne vibrare le corde: che tipo di cambiamento può esserci stato, a cavallo di questi due episodi, tanto da passare dall’urgenza alfabetismo all’urgenza bullismo, dall’esigenza di insegnare l’arte dello scrivere e del parlare a quella di debellare continui casi di violenza verbale e non solo, dalla scuola privilegio di pochi alla scuola obbligo disinteressato di tutti? Una vera e propria invasione barbarica, che ha portato con sé disimpegno, disillusione e distruzione di ogni gerarchia: dall’autorità del preside all’autorevolezza degli insegnanti; dal prestigio del sapere al valore dell’apprendere.
In quella piccola stanza di Barbiana, don Lorenzo Milani – di cui ricorrono quest’anno i quarant’anni dalla morte – in una parete aveva fatto scrivere “I care”, ovvero “mi interessa, mi sta a cuore”; nelle molte aule tecnologiche delle nostre scuole, dove le lavagne iniziano a cedere il posto ai computer e i cellulari costituiscono spesso l’unico strumento di comunicazione, l’interesse scompare, annientato da individualità oltraggiosamente in grado di lasciarsi scorrere addosso tutto, senza appassionarsi a nulla.
E proprio l’”interesse” è forse una delle tante possibili chiavi di interpretazione che permettono di collocare questi fenomeni degenerativi, che coinvolgono la scuola, nella cornice più ampia della crisi delle autorità. Tutti i dizionari ne parlano fondamentalmente in tre sensi: l’interesse come passione ed impegno; l’interesse come condivisione e partecipazione; l’interesse come tornaconto personale. Ebbene, i molti casi che negli ultimi mesi ci hanno raccontato di bulli e sconcezze rivelano in realtà una sporgenza dell’ultima accezione sulle prime due: una crisi, cioè, dello stare insieme (inter-esse) e della dedizione (interessamento) e una preminenza totalizzante del mero “libertino” vantaggio egoistico. Si assiste così al frantumarsi del valore pedagogico e formativo dell’insegnante e della piccola comunità che è la classe, embrionale occasione per sperimentarsi in relazione con gli altri; il coinvolgimento di tutti cede alla convenienza di ognuno; la condivisione di un progetto di crescita è sconfitto da una fasulla e fittizia tutela del singolo; il professore perde la propria aurea sacrale, tanto da divenire complice nel vizio o vittima nell’oltraggio; i genitori scarnificano la concezione di ciò che è bene per i propri figli, la cui maturazione non passa più attraverso il rispetto di alcuni doveri, quanto piuttosto per il sempre più ampio diritto a tutto.
Un giovane studente napoletano ha recentemente inviato un messaggio ai quotidiani, rivendicando l’attenzione per la buona “scuola che c’è”, chiedendo di non far vincere la “non scuola” spettacolarizzata dai media: ma tutti gli altri che cosa sarebbero oggi in grado di scrivere nella loro moderna e tecnologica “lettera ad una professoressa”?

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