domenica 11 ottobre 2009

IL PREMIO DELLA/ALLA SPERANZA. IL NOBEL AD OBAMA

Due premesse prima di iniziare il tutto.
Premessa1: in effetti un po’ di perplessità questa scelta l’ha lasciata anche a me, nonostante del premiato sia un fan accanito; dato infatti che viviamo in un mondo in cui la poesia risulta perennemente scalzata dalla prosa, forse vale più il giudizio del Times – “intento palesemente politico e di parte” – che mille suggestioni.
Premessa2: non faccio neppure troppa fatica a pensare che questa decisione sia quantomeno prematura; non male il commento a tal proposito del vicedirettore del Wall Street Journal Europe Iain Martin: “è assolutamente bizzarro. Obama non ha fatto la pace con nessuno se non forse con Hillary Clinton”.

Comunque, provando a “fantasticare” un po’ e ad abbandonare chissà quali dietrologie possibili, mi immergo nel mio sogno e nel paio di considerazioni in merito all’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Barack Obamache che in un certo qual modo nobilitano e rendono affascinante la scommessa dell’accademia svedese.
Provo ad illustrarle anche citando qualche passo.

a) “sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”.
Il primo motivo suggestivo è proprio il destinatario, ma non nella sua persona, quanto nella sua carica. Non è senz’altro la prima volta che questo riconoscimento viene affidato ad un uomo politico, ma il fatto che avvenga per l’ennesima volta ha il pregio di riconsegnare la politica alla sua vocazione autentica e alla sua dimensione progettuale, scalzandola da biechi provinciali battibecchi personali, innalzandola da quelle logiche di mercato alle quali troppo spesso si piega, mettendo in secondo piano la sua ineliminabile componente demoniaca, elevandola alla sua identità più propria e appropriata. La politica è idea e disegno di un mondo e di una società nuovi, è l’espressione pratica della relazionalità intrinseca che caratterizza la natura umana, è sguardo sul futuro, è responsabilità nei confronti delle generazioni successive, è opera di coordinamento e dialogo tra classi, culture, convinzioni, è tentativo instancabile di far prevalere la socialità sull’aggressività. Il Premio Nobel per la Pace assegnato ad un uomo politico – e all’uomo politico più potente del mondo – riconsegna centralità ad una certa visione della politica e veste di nuova dignità la missione di ogni uomo di potere: da questo punto di vista dunque – e forse di più ancora per noi italiani, in questo triste momento di eruzioni diffuse, in cui ci assale un magma incandescente che fagocita pubblico e privato, prepotenza e attacco alle istituzioni, invocazione ai numeri e scontri verbali – esso costituisce forse un’occasione propizia per tessere insieme, in maniera nuova e più convinta, due dimensioni troppo spesso divergenti: quella della teoria politica e quella della prassi politica. Il Premio Nobel per la Pace al più potente uomo politico ci ricorda che il progetto di concordia tra i popoli è alla base di ogni politica internazionale e che il potere trova la propria sana legittimazione solo laddove è ricontestualizzato all’interno di una finalità più ampia, volta a fortificare legami autentici e permettere equilibri buoni, sani e giusti.

b) “Solo raramente una persona come Obama ha catturato l'attenzione del mondo e dato al suo popolo la speranza di un futuro migliore […]. È giunto il momento per tutti noi di assumerci la nostra parte di responsabilità per una risposta globale alle sfide globali”.
Il secondo è legato alla motivazione. Sarà idealistico, o addirittura utopico, sarà superficiale, o addirittura epidermico pensarlo, ma sentire – almeno nella memoria del sottoscritto per la prima volta – assegnare un riconoscimento così prestigioso alla speranza, non nascondo che mi ha fatto qualcosa di più di un certo effetto. Non sono i risultati a contare, non è quanto si è fatto già, ma i disegni di speranza che Obama ha tratteggiato e presentato al mondo, illustrandoli sempre al plurale e presentandoli come la scommessa laica alla quale il mondo intero è chiamato a guardare. Eccolo probabilmente il vero cuore dell’assegnazione: qualcuno ha riattivato e rianimato il fiume in secca della speranza terrena e globale, ha saputo trovare nuove sorgenti per rimpolparlo e ha saputo tracciargli un letto tale da riportarlo alla luce di fronte al mondo. Un nuovo sguardo sul futuro, un nuovo capitolo per la storia, un nuovo “noi” pronto a guardare oltre i propri tanti piccoli ed egoistici “sé”.
Un investimento che è un’investitura, certo – e che sotto questo punto di vista può suscitare qualche critica –, ma come ogni investitura porta con sé delle responsabilità, che costituiscono forse l’ancora di salvezza che evita in ultima istanza a questo premio di essere solo retorica e lo trasformano immediatamente in un onere etico e politico: da oggi Obama dovrà agire non soltanto da Presidente degli Stati Uniti, non soltanto da icona di un cambiamento, ma da detentore di un Premio che lo “condanna” a meritarlo quotidianamente e lo “costringe” non più soltanto ad unire i cuori ed i sogni di molti, ma a lavorare realmente per la pace di tutti…

…ed ora che mi sono svegliato dal sogno di queste belle idee, potranno dirmi che oscuri poteri forti hanno nella realtà manovrato affinché ciò avvenisse per motivazioni che solo loro sanno, ma forte del bel sogno di questa notte provo ugualmente ad ampliare il mio bacino di speranza e ad assumermi la mia dose di responsabilità.

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