venerdì 10 settembre 2010

I RITI DI DEGRADAZIONE E L’ANNULLAMENTO DELLA SPERANZA 1: PRESENTE SENZA FUTURO

C’è una cosa che in questo momento della mia vita mi segnala in maniera oppressivamente concreta quanto l’essermi sposato e l’aver creato una famiglia (fatta la tara alla grandiosa bellezza della cosa in sé) mi abbia oramai proiettato nell’età adulta (oltre il fatto di aver superato i trenta): un bel pizzico di paura del futuro; ma c’è una cosa che in questo momento della mia vita mi aiuta tragicamente a pensare che, nonostante mi sia sposato e abbia creato una famiglia, nonostante mi senta adulto (e abbia superato i trenta), tutto sommato sono ancora giovane: la luce accecante del presente. Sull’adulto pesa infatti “per antonomasia” la consapevolezza di una crescente responsabilità nei confronti del domani, non più solamente il "proprio" domani; il giovane vive, “cromosomicamente”, nel gusto dell’oggi e nel coraggio dell’imprevisto, molto concentrato sul "proprio" vissuto. Solo che la mia paura del futuro ha ben poco del fisiologico e costruttivo (come dovrebbe essere) e la luce accecante del presente somiglia per nulla alla chiarezza delle possibilità (quanto piuttosto risulta vicina ad una cecità da abbaglio).
Se poi faccio un passo avanti e mi azzardo a coniugare queste due dimensioni – fosse solo per non pensare di avere un’identità schizofrenica – mi rendo miseramente conto che questa strana convivenza è poco naturale e soprattutto poco sana: questa società sta infatti costringendo i giovani adulti della mia generazione a dimenticarsi del fatto che stanno crescendo e a convincersi di poter restare giovani; il tutto non grazie a miracolose creme rivitalizzanti, a mode colorate e sportive o a utopiche formule anti-age, ma perché sta frullando, in un mix tremendo e agghiacciante, l’ossessione dell’oggi con la necessità di non dovere pensare a domani. Se il giovane, per “deformazione professionale” non è portato ad interrogarsi sul suo futuro, e potrebbe quindi trovarsi a proprio agio in questa condizione, all’adulto che gli si sta accostando e cerca di convivere per un pezzetto di strada con lui è oggi impedita questa possibilità: ci è stata resettata la fiducia nel domani e cancellata la speranza nel futuro, e questo al di là della contingenza esistenziale della nostra condizione umana.
Un paio di generazioni or sono, e quindi anche cronologicamente qualche decennio fa, i miei genitori, allora bambini, sono cresciuti in condizioni che costituiscono spesso oggetto di racconti tali da sembrare quasi mitici tanto paiono lontani e diversi dalla nostra realtà quotidiana (povertà, sacrifici, essenzialità): ma a quella generazione è stata data l’occasione di mettersi alla prova per tentare di costruire il futuro proprio e dei propri figli. La mia generazione è cresciuta invece all’interno di una bolla di sviluppo economico che l’ha protetta e viziata ed oggi inizia a toccare con mano quanto il nostro stile di vita sia stato sproporzionato rispetto a quanto potevamo e possiamo tuttora permetterci. Quale la conseguenza? Che il nostro presente è un presente di affannosa e continua ricerca di una sistemazione lavorativa o di una nuova collocazione lavorativa, vittime di una flessibilità che ci è stata presentata come la panacea di tutti i mali e che è diventata invece l’ultima e unica possibile schiavitù pensabile nell’età della difesa dei diritti umani; che il nostro futuro è tragicamente costretto ad essere declinato molto spesso al singolare, laddove si riesce a progettare, immaginare, pianificare. Non è certo nella mia indole la presunzione di voler avere una vita già scritta o dettagliamene prevista, ma desidererei un’esistenza che preveda il diritto di guardare al futuro con fiducia; non è nel novero dei miei obiettivi vedermi regalata una vita piena di successi o di agio, ma, da marito, desidererei che mi fosse consentito di vivere da padre senza dover pensare con affanno e vergogna a ciò che lascerò ai miei figli.
E’ vero, ci sono valori e sentimenti da trasmettere e affidare in eredità, come c’è, per chi ci crede, una Provvidenza a cui affidarsi, che spesso scompagina e riordina le situazioni di vita, ma gradirei che questo presente potesse essere anche una semina per far raccogliere altri, mentre al momento è uno scavo esasperato nel fondo di un fondo già scavato; gradirei avere motivi per coltivare una fiducia che non sia utopica o irrealistica, ma fondata e argomentata; gradirei, in buona sostanza, che la tridimensionalità del volume temporale delle nostre vite si riordinasse secondo la dignità che le compete: un passato da cui imparare, un presente in cui investire, un futuro di cui essere serenamente responsabili.

1 commento:

Mirco Lattanzi ha detto...

Ciao Luca,
da marito e da padre mi trovo anch'io a condividere con te l'amarezza e il disagio davanti al desolante spettacolo che, quotidianamente, ci tocca dover assistere e vivere, purtroppo, in prima persona. Grazie per i tuoi post dove riesci così bene ad esplicare un malessere comune a molti. Vorrei proporti qualche sintetica considerazione, almeno per ricordare a me stesso alcuni punti fermi dai quali partire.
1- Spesso ci confrontiamo con un modello, quello del "benessere" degli anni '70-'80 vissuto dalle scorse generazioni, falsato e gonfiato da alcune aberrazioni di fondo. Il "non dover pensare al domani" ha avuto origine da questo modello proprio perchè il domani aveva in qualche modo le spalle coperte. Noi ci troviamo a vivere le conseguenze di queste aberrazioni, ma il rischio che corriamo è quello di trasferire la responsabilità delle nostre azioni e delle nostre mancate possibilità esclusivamente sulle spalle degli "altri": il vecchio modello, la generazione dei padri, la classe politica, la società, la storia.
2-Non possiamo per questo rassegnarci ad abbandonare gli ideali "alti" e non possiamo lasciarci sopraffare dall'accusa di cadere nella retorica o nella banalità. Una certa ideologia corrente bolla subito come retorico o banale tutto ciò che gli è scomodo o ciò che viene strumentalizzato a suo sfavore. Per quanto mi riguarda, dire che occorre essere onesti, che la fame nel mondo è uno scandalo vergognoso e che occorre ringraziare il Signore per ogni giorno che ci concede non ha veramente nulla di retorico o di banale.
3- Non possiamo ritrarci davanti alla Storia. Forse, questa "mancanza di possibilità" potrebbe trasformarsi nella possibilità concreta di mettere sul banco di prova la nostra fede. E' vero che dovremmo avere il diritto di guardare al nostro futuro con una certa serenità, ma quando preghiamo diciamo "dacci oggi il nostro pane quotidiano" e non domani. Il cristiano è un uomo che vive profondamente l'oggi e che si impegna oggi per seminare il domani, ma il domani è di un Altro. Se il Signore (che è Signore della Storia) ci ha chiamati a vivere questo particolare momento storico vuol dire che ha dato a questa generazione tutte le potenzialità per farlo, anche a costo di subire umiliazioni, di non essere ascoltati, di non avere spazi adeguati, di non venire riconosciuti. Forse, da tutto questo, ciò che ne uscirà rafforzato sarà un rinnovato gusto per l'essenziale e un impegno a favore della qualità dell'esistenza.
E una parte cospiqua della qualità del vivere è sicuramente occupata dall'amicizia.
Ciao
Mirco Lattanzi