sabato 25 ottobre 2008

I NUOVI BARBARI 6 – DALL’INVASIONE ALLA RISCOSSA

Siamo giunti al capolinea: si scende!
Il nostro viaggio è compiuto ed approda al suo ultimo momento, quello del congedo e del ritorno a casa: ognuno riprenda la propria vita, i propri ritmi, le proprie cose. Possiamo finalmente togliere gli occhiali ingombranti ed “angoscianti” con i quali abbiamo cercato di guardare in maniera nuova i paesaggi che ci circondano, le cui lenti hanno forse caricato, ingigantito e amplificato la realtà; stropicciamoci gli occhi, che rivedono la luce, e riguadagniamo la nostra vista naturale sul mondo. La speranza è però che questo gesto non cancelli di colpo quanto abbiamo osservato e non getti nell’oblio i risultati del nostro esperimento, ma offra lo stimolo a leggere tra le righe i fenomeni che viviamo: occorre saper scavare dietro ogni accadimento, senza subirne l’irruzione passiva, provando a rintracciarne invece la corrente carsica e mutarne il corso, laddove pericoloso; serve ascoltare il nostro tempo e il nostro mondo, i suoi moniti, le sue sollecitazioni, purificando i segnali e le voci, arrivando al cuore dei problemi. Tornando a casa dopo il nostro peregrinare, la provocatorietà dell’analisi lasci allora spazio ai buoni propositi, l’atto di accusa sia scalzato da un’assunzione di consapevolezza, la nota volontariamente pessimistica venga sconfitta dall’impegno attivo.
Abbiamo attraversato alcune delle regioni calpestate dall’invasione barbarica, portato alla luce la crisi di autorevolezza delle nostre autorità, ribadito come l’arbitrarietà e il desiderio siano divenuti il solo criterio spendibile nell’ampio ventaglio delle umane possibilità. E’ necessario ora rinsaldare le nostre radici comuni, ridare loro linfa e forza vitale, non solo per permettere che resistano agli attacchi (sarebbe troppo poco), ma per renderle affascinanti e credibili, in maniera tale che l’attacco barbarico imploda su se stesso, sconfitto dalla propria infondatezza, e ceda al cospetto della nobiltà dei nostri valori autentici. Lascio con umiltà e speranza ad altre voci la costruzione di possibili itinerari alternativi e costruttivi, in cui attecchiscano, germoglino e fioriscano il recupero di una sana relazionalità e il riconoscimento autentico delle molte autorità che educano e formano le nostre esistenze.
Jean-Jacques Rousseau ha scritto: “L’unione tra debolezza e prepotenza non può che generare follia e miseria”. Parole che indicano uno dei possibili punti di partenza: spezzare l’incontro paradossale e funesto tra identità oramai fragili e deboli, incapaci di riconoscere e rispettare dei modelli, ed ambizioni prepotenti ed egoistiche, dedite alla tutela di verità relative, figlie di una libertà assoluta; evitare di creare una società ingovernabile, perché folle incrocio di strade senza segnaletica, e caotica, perché miseramente condannata all’istante e all’oggi; recuperare la sacralità di un bene comune che non si riduca alla somma dei singoli interessi, ma apra un piano più elevato, ma non per questo meno raggiungibile; costruire alcune decisioni su di una progettualità a lungo termine, che sappia reggere gli urti dei cambiamenti e possa avere il coraggio di alcune sanzioni.
Da vittime dell’orgoglio, della presunzione, della noia e della disperazione a protagonisti di una riscossa; dall’eroicità di alcuni gesti singoli alla condivisione di una risposta matura e comunitaria; dalla tutela del proprio all’affermazione pacifica e autorevole di alcuni valori irrinunciabili: una sfida difficile, ambiziosa e coraggiosa, chiamata a conciliare eccezionalità e fragilità, adesione e protesta, scelta e sacrificio, in nome di qualcosa a cui restare fedeli, che valga più delle nostre individualità e ci renda responsabili di fronte agli altri.

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