sabato 6 marzo 2010

La scena e il laboratorio

La Regione dei cento teatri è di nuovo vicina all’appuntamento elettorale che dovrà decidere a chi spetta governarla nel prossimo quinquennio: non intendo entrare nel merito del valore umano e politico dei due principali candidati alla poltrona di governatore, Spacca e Marinelli; finirò per rispettare la par-condicio di questo periodo (almeno per quel che merita nel principio che la anima, tralasciando le derive delle ultime settimane – esempio televisivo in primis – in cui ci è stato data l’ennesima dimostrazione di cosa combina la tecnica quando non è governata da persone autorevoli e principi di spessore). Il senso di queste righe è infatti rendere esplicita una trasversale delusione, che, al momento, riguarda centro-destra e centro-sinistra su due ambiti differenti e per motivi diversi, ma tragicamente connessi ad alcune grandi voragini della politica nazionale.
Scrive Ilvo Diamanti ne La Repubblica del 14 febbraio scorso: “Perché oggi la metafora più adeguata per descrivere il sistema della rappresentanza (ben delineata dal filosofo Bernard Manin) richiama la "scena", dove si confrontano gli attori e il pubblico. Il quale può, certamente, decretare il successo oppure il decesso di un programma e (simbolicamente) di un attore. Ma, appunto, non è lui a decidere i palinsesti. Perché può solo reagire a un'offerta elaborata dall'esterno. A cui non partecipa”. Purtroppo, ma forse non paradossalmente, il candidato Marinelli ha dato alla luce il proprio slogan elettorale un po’ di tempo prima dell’analisi di Diamanti e non so se si sarebbe sentito di sposarlo ugualmente dopo queste parole (che costituiscono per certi versi l’alter ego “a sinistra” della plastica che si scioglie del “più liberale” Galli Della Loggia), ma, a questo punto, quello che davvero risulta rivelatore e imbarazzante è proprio lo slogan del centro-destra marchigiano: ”Insieme a voi per cambiare la scena”. Tana per Diamanti o per Marinelli? Senz’altro il sottoscritto spesso esagera nelle sottigliezze, ma ritengo più che emblematico di un certo stato sonnacchioso della coscienza civile della classe dirigente del nostro paese e in questo caso del centro-destra della nostra regione aver accettato e promosso uno slogan di questo tipo, di fronte al quale le alternative sono difficilmente più di due: o le parole non hanno più alcun significato o è oramai definitivamente sdoganata la simbiosi tra politica e scenografia, tra programma e sceneggiatura, tra protagonisti e attori, tra realtà e rappresentazione (quanta lucidità, quindi, in realtà, nelle parole di Diamanti).
Ma la “scena” della nostra Regione è anche quella di un “laboratorio”, in cui la politica nazionale ha deciso che, indipendentemente da molte realtà locali, si dovesse imporre una decisione emersa dai direttivi romani, al di là della coerenza, attenzione e continuità nei confronti della situazione e recente storia politica locale. E così i vertici del Partito Democratico hanno deciso che dovesse prevalere la linea dell’accordo con l’Udc, alla faccia dei quindici anni di governo ampio e positivo anche con la “sinistra più a sinistra”: non intendo con questo dire che non di debba sperimentare un nuovo dialogo con chi ha capito finalmente, con qualche anno di ritardo, cosa abbia significato per questo paese il berlusconismo, ma penso che il Partito Democratico – che partito ancora non è – continua a non avere la forza, l’autorevolezza, la dignità e gli argomenti per essere traino nei confronti di altre eventuali forze della coalizione/opposizione: se nel Lazio si è fatto scegliere il candidato da una battuta che forse la stessa Bonino faceva fatica a pensare che potesse diventare qualcosa di serio (senza primarie e senza un minimo dibattito pubblico), nelle Marche ha subito una scelta, facendo prevalere i conti matematici a tavolino sulla propria capacità di farsi protagonista e garante della forza di una coalizione più ampia (nell’incapacità di decidere se andare da soli e nell’incapacità di offrire una piattaforma programmatica ampia e attraente, ne segue la triste situazione di essere sempre sotto una sorta di “ricatto elettorale”: i numeri vincono sulla sostanza – come è ovvio che sia quando la sostanza non c’è). Non mi interessa qui affrontare la cancerogena voglia di scissione della sinistra radicale né il balbettio nazionale del partito di Casini, ma la grande nota politica che mi sta più a cuore è che il PD, che a Roma non sa dettare una politica nazionale, nelle Marche ne impone una locale costruita tutta sui numeri (di carta) piuttosto che capacità catalizzatrici.
Cosa ne resta? Da un lato la “scena” di ciò che la politica non si vergogna di dichiarare quando la rappresentanza diviene rappresentazione e dall’altro il “laboratorio” di ciò che la politica finisce inevitabilmente per essere quando si spera che l’esperimento produca da sé un’ipotesi (e non viceversa).

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