venerdì 15 ottobre 2010

Sono già passati due mesi da un'esperienza unica

Ieri pomeriggio ho messo a fuoco che sono già trascorsi due mesi dal campo di servizio che abbiamo svolto a Pizzoli (un "pizzico" di strada da L’Aquila) con i ragazzi dei giovani e giovanissimi dell’Ac di “Grotta” (e tre gradittissime "intrusioni" di Porto Potenza) e, nonostante molte siano già state le occasioni per tornare a fare mente locale su un’esperienza che ha segnato in modo speciale le vite di tutti noi (il ritorno, un paio di settimane dopo, per un saluto a tutti i bimbi; i nuovi contatti con Giulia e Noemi; la cena del campo; la newsletter della Caritas delle Marche; le foto del nostro don Piero), mi sono accorto con stupore che non avevo ancora messo per iscritto nulla in questo mio spazio virtuale e ho cercato, al di là del tempo che non c’è mai, di capire i motivi di questo vuoto.
E ho percepito che forse affonda tutto nella difficoltà di trascrivere in lettere, consonanti, vocali, parole, punteggiatura il dono di cinque giorni preziosi, che hanno avuto bisogno di ben più altri giorni per essere decantati e che mai potranno essere raccontati in maniera adeguata. Mi limito allora a due sole suggestioni, profondamente distanti l’una dall’altra, così come altrettanto profondamente distanti dalla verità della realtà vissuta, ma che inevitabilmente hanno finito per essere due delle molte anime di questa esperienza: la prima grigia, triste e angosciata; la seconda carica di speranza, con qualche sorriso e oserei dire felice.
Quando la realtà fa meno male della sua mistificazione.
Ho cercato di partire per questa esperienza totalmente scevro da interpretazioni di sorta e pregiudizi di comodo per provare a percepire “dal vivo” fondatezza di posizioni e verità di situazioni; sono tornato a casa senza la chiarezza che mi aspettavo, molto confuso e annebbiato, ma con l’unica certezza appurabile, l'enorme gravità. E allora mi sono detto: vuoi vedere che proprio il modo in cui tale gravità è stata subito sbandierata, ma col tempo mascherata, ha fatto saltare ogni gerarchia di rivendicazione e ogni fisiologica attesa di ricostruzione? Se da un lato molti rivendicano alla gestione da parte del governo italiano la celerità con cui si è dato il tetto a molti e accusano quasi di scarso senso della realtà le critiche e le rivendicazioni a solo un anno dal sisma da parte degli aquilani, se dall’altro lato molti accusano il governo italiano di aver fatto poco, troppo poco e difendono le posizioni di chi a oltre un anno si chiede quale sarà il destino di una città intera, io credo che il vero dramma che si tocca con mano vivendo qualche ora a L’Aquila è il vuoto assordante di una progettualità al cospetto di una tragedia tanto grande; un vuoto che è stato ammantato dall’immagine che tutto si potesse risolvere rapidamente, una tragica e colpevole assenza di un progetto (quanto è miseramente bipartisan e quanto fortemente onnipresente nella nostra classe dirigente questo tarlo) a cui non si è cercato di rispondere con il coinvolgimento di tutti, ma si è replicato con la facciata dell’immediatezza. Il terremoto dell’Aquila non ha semplicemente devastato una città d’arte, ma ha scardinato una cittadinanza viva, unita e appassionata: se allora non si hanno idee e soldi per ricostruire tutta la città d’arte (come si potrebbe anche comprendere o far comprendere, visti i danni ingenti e profondi), si deve almeno avviare un cammino di dialogo e condivisione per chiedere pazienza in vista della ricostruzione di una nuova cittadinanza viva, unita e appassionata a partire da un chiaro progetto di città. Se invece ciò non avviene e si propaganda la possibilità che tutto possa essere fatto nel giro di pochi mesi, con qualche rivoluzionario palazzo per pochi (a proposito ci è mai stato detto quanto è costato?), forse si può capire perché tutti chiedano molto e presto: risolvere con decisioni lontane da quella realtà (come era e come dovrebbe essere) un problema più che reale (lo scollamento di un tessuto umano) non è forse legittimo che provochi delle richieste che sembrano altrettanto lontane dalla realtà (la lentezza della ricostruzione) di un problema più che reale (tanta e tanto grave è la distruzione)??
Quando la semplicità ti fa scoprire la grandezza del bene.
Ho cercato di partire per un’esperienza limitata nel tempo (solo cinque giorni) e a molta distanza dall’immediata crisi post-terremoto (oltre un anno) senza alcuna pretesa di essere il soccorritore di turno e con l’ampia consapevolezza di entrare nell’ordinarietà quotidiana di una quotidianità da un po’ per nulla ordinaria in verità; per cui onestamente mi attendevo, poco abituato in questi anni a vivere l’esperienza di un campo di servizio e più abituato al camposcuola, che fosse il campo a fagocitare il servizio e a limitare il servizio ad una sorta di bella cornice, ma quasi simbolica. Invece è successo esattamente il contrario, in tutto e per tutto: il servizio ha partorito il campo e lo ha fatto passando attraverso le attività più semplici di questo mondo; le attività più semplici di questo mondo hanno costruito un clima tra i partecipanti e una rete di relazioni con i ragazzi e le persone che abbiamo conosciuto a Pizzoli davvero fuori dall’ordinario. Abbiamo fatto compagnia a qualche anziano negli hotel o nei moduli abitativi, abbiamo animato le attività di alcuni centri estivi e di un asilo, abbiamo elargito qualche sorriso a chi condivideva con noi la messa parrocchiale e condiviso tutto ciò insieme, ma proprio nel sorriso di tutti abbiamo percepito la bontà del nostro gesto, la sua giustezza e grandezza che riusciva a stare nella piccolezza e nella banalità della sua veste esteriore: il sorriso provocato e condiviso era il massimo del bene che potevamo fare ed è stato il bene più grande che noi abbiamo ricevuto (soprattutto se si pensa che lo abbiamo ricevuto da chi doveva riceverlo e suscitato in chi non si conosceva per nulla e in nulla). E quei sorrisi, bagnati da qualche lacrima nei racconti, nei resoconti, nelle paure, nelle disillusioni, hanno segnato i cuori e segneranno per sempre i ricordi di chi ha avuto l’onore di questa esperienza. Una grandezza che passa per una porticina minuscola e usa come tramite quanto di più semplice possa esserci; una provvidenza che ti regala sempre molto di più di quanto tu pensi possa seminare, raccogliere e sostenere (è la lezione tramite la quale la realtà mi ha dimostrato quanto sia vera la testimonianza continua della nostra Graziella); una storia umana che è in grado di riservare doni sproporzionatamente più ricchi, anche se infinitamente più istantanei, dei limiti, degli errori, delle colpe e del dolore che spesso la costella. Le storie che s’incontrano e s’intrecciano in un pezzetto di vita sono una delle ricchezze maggiori che ci è offerta e per trasformarle in occasioni di sorriso, al di là del loro recente passato o del loro prossimo futuro e al di sopra di una felicità materiale, basta solo essere aperti all’incontro, esseri aperti all’ascolto, essere aperti alla comprensione e alla disponibilità, essere aperti a farci vicendevolmente compagnia per un tratto di strada, nulla di più. E’ proprio vero, basta poco, così poco!!

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