sabato 31 dicembre 2011

Due testi per augurarci buon anno: Don Tonino Bello e l'anno vecchio

Ringraziamento fine anno
(Tonino Bello)

Eccoci, Signore, davanti a te.
Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.

Ma se ci sentiamo sfiniti,
non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto,
o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.

È perché, purtroppo, molti passi,
li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue:
seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera,
e non le indicazioni della tua Parola;
confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre,
e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te.

Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno,
sentiamo nostre le parole di Pietro:
"Abbiamo faticato tutta la notte,
e non abbiamo preso nulla".

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente.
Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di te,
non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.

Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno,
esigono il nostro rendimento di grazie.

Ti ringraziamo, Signore,
perché ci conservi nel tuo amore.
Perché continui ad avere fiducia in noi.

Grazie, perché non solo ci sopporti,
ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi.

Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi.
Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini.

Anzi, ci metti nell'anima un cosi vivo desiderio di ricupero,
che già vediamo il nuovo anno
come spazio della speranza e tempo propizio
per sanare i nostri dissesti.

Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza.
Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza.
Donaci un futuro gravido di grazia e di luce
e di incontenibile amore per la vita.

Aiutaci a spendere per te
tutto quello che abbiamo e che siamo.
E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore.
Fino alle lacrime.

Don Tonino Bello

Tratto da
http://www.qumran2.net/

Due testi per augurarci buon anno: Severgnini e il nuovo anno

TRE PAROLE CHIAVE
Incertezza, Semplicità e Coraggio
Gli italiani e le difficoltà: ci insegneranno a costruirci un futuro


Alla fine del 2011 una certezza, il mondo, sembra averla: siamo tutti incerti. È un coro, più che un'opinione. Attraversa i social network e i media tradizionali, le conversazioni e le pubblicazioni. Si va dal catastrofismo Maya, che ha spiazzato gli astrologi, al disfattismo economico, che ha terrorizzato i risparmiatori.
Se contassimo le copertine e i titoli che la stampa di lingua inglese ha dedicato, quest'anno, all'inevitabile collasso dell'euro, potremmo concludere che in Europa siamo tornati al baratto, o a scambiarci conchiglie.
Non è andata così. L'Italia, l'Europa e il mondo sono arrivati alla fine di un altro anno impegnativo, ma non inutile. La sensazione è che - lentamente - stiamo capendo cosa è importante. È in atto un processo di semplificazione che non riguarda solo una moneta o l'economia; tocca la vita privata, la vita pubblica, il diritto e quasi tutte le industrie che conosciamo.
Bisogna lavorare meglio, lavorare più a lungo, sprecare meno e non rubare: più che un programma, è diventato un obbligo, per l'Italia e non solo. Ci stiamo rendendo conto quali sono le cose che contano; e abbiamo meno pazienza per le cose e le persone che non contano. È il compiacimento che porta agli eccessi, alla superficialità e alla tolleranza dell'incompetenza: lo ha dimostrato, nel 2011, la politica italiana, ma il fenomeno è più diffuso. Tocca le aziende, le famiglie e le persone. «Back to basics»: tornare ai fondamentali è un esercizio che ogni società, periodicamente, deve compiere.

Noi italiani possediamo un ottimismo infettivo: è la nostra fortuna e la nostra disgrazia. Ci mettiamo più di altri - certamente più degli scettici nordeuropei, dei pratici americani, dei realistici cinesi, dei fatalistici russi - a capire che le cose non vanno. Ma quando lo abbiamo capito, siamo capaci di ingegnarci perché cambino. Stavolta sarà necessario più ingegno e più impegno del solito. Perché al netto delle metafore western e sportive di Mario Monti (precipizi, avvoltoi, corse a ostacoli) è chiaro qual è la lezione del 2011: dobbiamo cambiare comportamenti. Lo dobbiamo a chi viene dopo di noi.
Non essendo sciocchi, e se saremo seri, potrebbe accadere. Chissà che il 2012 non sia l'anno del sollievo dopo lo spavento. In un «mondo di modernità multiple, interdipendente e globalizzato, senza un centro politico o un modello dominante» (Charles Kupchan), c'è spazio per tutti: basta fare bene qualcosa, ed evitare errori. L'indignazione - secondo alcuni la parola dell'anno - non è altro che la richiesta di capire. Come funziona la finanza, per esempio, la cui protervia sta diventando insopportabile.

I problemi sono ormai chiari, manca il coraggio delle soluzioni. È chiaro - per tornare all'Italia, citata spesso in questi giorni come caso esemplare della conversione necessaria - che abbiamo bisogno di procedure semplici e trasparenti, di un sistema fiscale equo, di trasporti efficienti, di mezzi per la sanità e l'istruzione cui siamo abituati. La battaglia ingaggiata nel 2011 è contro la Red Tape Industry, l'industria della complicazione burocratica, che nel nostro Paese ha il quartier generale, produce fatturati enormi e tenterà di difenderli.

Anche la tecnologia e i social network segnalano questa tendenza alla semplificazione. Se Amazon macina record - ora anche in Italia - è perché fa una cosa molto bene: ti porta a casa quello che desideri, quando lo desideri. Se la Apple di Steve Jobs ha stravinto, è perché offriva - e offre - prodotti più belli ed essenziali della concorrenza: è stata la prima a sbarazzarsi dei libretti d'istruzioni. Facebook resta dominante, ma comincia a mostrare qualche crepa. C'è chi ha detto: serve a mentire agli amici, mentre Twitter aiuta a esser sinceri con gli sconosciuti. Non solo: molti si stanno chiedendo chi siano, questi «amici», e se valga la pena sopportare a lungo l'ipocrisia di quelle virgolette.

Un altro anno è andato, la sua musica è finita, cantava Francesco Guccini, gran contabile delle nostre malinconie collettive. Non è stato, ripeto, un anno inutile. È servito a distinguere il necessario dal superfluo. La società occidentale - che conta meno, ma conta ancora - è uscita dal «paradosso del progresso» descritto da Gregg Easterbrook nel 2003. Nel decennio scorso, la vita migliorava e la gente si sentiva peggio. Non è escluso che le difficoltà, da qui al 2020, ci insegnino ad organizzare, risparmiare e apprezzare ciò che abbiamo. E a costruirci un futuro.

Oggi è sabato, c'è tempo. Guardate il video «Zeitgeist 2011» messo in rete da Google. La canzone di sottofondo - deliziosa - è di Mat Kearney, il primo verso recita: «We're all standing with our backs against the wall, sooner or later», ci ritroviamo tutti con le spalle al muro, prima o poi. Be', ci siamo già. E non è necessariamente un male. Perché in quella posizione - quando non si può più arretrare - si trova la forza di reagire. O ci si arrende: ma noi non vogliamo farlo.
Zeitgeist 2011 si chiude con una scritta digitata nel campo di ricerca: «We made it», ce l'abbiamo fatta. Certo, è una semplificazione. Ma ne avremo bisogno, a partire da domani.

Beppe Severgnini
31 dicembre 2011

Tratto da
www.corriere.it

mercoledì 21 dicembre 2011

Auguri per un Natale in cui respirare ossigeno nuovo e progettare un domani migliore

"Quando il Dio-Bambino, che nelle sue manine teneva il mondo intero, le protese compassionevole alla Madre, terra e cielo si fermarono in somma venerazione.
Quando colui che era venuto a scaldare con il suo amore tutte le creature assiderate dal freddo della morte si scaldava al fiato del bue e dell'asino legati nella stalla, anche gli alberi vegliavano"
(Pavel Aleksandrovič Florenskij)

Vi auguriamo con tutto il nostro cuore di sperimentare in questo Natale, assediato da paure e difficoltà, la stessa potenza e lo stesso calore che questa nascita comunica a tutti i cristiani: la potenza di una novità che sia in grado di ridare il giusto senso e il giusto verso alle nostre vite, aiutandoci a distinguere ciò che è indispensabile da ciò che è inutile; il calore di un amore a cui affidare le nostre vite e in cui sciogliere ogni tristezza, aiutandoci a camminare in buona compagnia verso la felicità.

Luca e Vale