sabato 31 dicembre 2011

Due testi per augurarci buon anno: Severgnini e il nuovo anno

TRE PAROLE CHIAVE
Incertezza, Semplicità e Coraggio
Gli italiani e le difficoltà: ci insegneranno a costruirci un futuro


Alla fine del 2011 una certezza, il mondo, sembra averla: siamo tutti incerti. È un coro, più che un'opinione. Attraversa i social network e i media tradizionali, le conversazioni e le pubblicazioni. Si va dal catastrofismo Maya, che ha spiazzato gli astrologi, al disfattismo economico, che ha terrorizzato i risparmiatori.
Se contassimo le copertine e i titoli che la stampa di lingua inglese ha dedicato, quest'anno, all'inevitabile collasso dell'euro, potremmo concludere che in Europa siamo tornati al baratto, o a scambiarci conchiglie.
Non è andata così. L'Italia, l'Europa e il mondo sono arrivati alla fine di un altro anno impegnativo, ma non inutile. La sensazione è che - lentamente - stiamo capendo cosa è importante. È in atto un processo di semplificazione che non riguarda solo una moneta o l'economia; tocca la vita privata, la vita pubblica, il diritto e quasi tutte le industrie che conosciamo.
Bisogna lavorare meglio, lavorare più a lungo, sprecare meno e non rubare: più che un programma, è diventato un obbligo, per l'Italia e non solo. Ci stiamo rendendo conto quali sono le cose che contano; e abbiamo meno pazienza per le cose e le persone che non contano. È il compiacimento che porta agli eccessi, alla superficialità e alla tolleranza dell'incompetenza: lo ha dimostrato, nel 2011, la politica italiana, ma il fenomeno è più diffuso. Tocca le aziende, le famiglie e le persone. «Back to basics»: tornare ai fondamentali è un esercizio che ogni società, periodicamente, deve compiere.

Noi italiani possediamo un ottimismo infettivo: è la nostra fortuna e la nostra disgrazia. Ci mettiamo più di altri - certamente più degli scettici nordeuropei, dei pratici americani, dei realistici cinesi, dei fatalistici russi - a capire che le cose non vanno. Ma quando lo abbiamo capito, siamo capaci di ingegnarci perché cambino. Stavolta sarà necessario più ingegno e più impegno del solito. Perché al netto delle metafore western e sportive di Mario Monti (precipizi, avvoltoi, corse a ostacoli) è chiaro qual è la lezione del 2011: dobbiamo cambiare comportamenti. Lo dobbiamo a chi viene dopo di noi.
Non essendo sciocchi, e se saremo seri, potrebbe accadere. Chissà che il 2012 non sia l'anno del sollievo dopo lo spavento. In un «mondo di modernità multiple, interdipendente e globalizzato, senza un centro politico o un modello dominante» (Charles Kupchan), c'è spazio per tutti: basta fare bene qualcosa, ed evitare errori. L'indignazione - secondo alcuni la parola dell'anno - non è altro che la richiesta di capire. Come funziona la finanza, per esempio, la cui protervia sta diventando insopportabile.

I problemi sono ormai chiari, manca il coraggio delle soluzioni. È chiaro - per tornare all'Italia, citata spesso in questi giorni come caso esemplare della conversione necessaria - che abbiamo bisogno di procedure semplici e trasparenti, di un sistema fiscale equo, di trasporti efficienti, di mezzi per la sanità e l'istruzione cui siamo abituati. La battaglia ingaggiata nel 2011 è contro la Red Tape Industry, l'industria della complicazione burocratica, che nel nostro Paese ha il quartier generale, produce fatturati enormi e tenterà di difenderli.

Anche la tecnologia e i social network segnalano questa tendenza alla semplificazione. Se Amazon macina record - ora anche in Italia - è perché fa una cosa molto bene: ti porta a casa quello che desideri, quando lo desideri. Se la Apple di Steve Jobs ha stravinto, è perché offriva - e offre - prodotti più belli ed essenziali della concorrenza: è stata la prima a sbarazzarsi dei libretti d'istruzioni. Facebook resta dominante, ma comincia a mostrare qualche crepa. C'è chi ha detto: serve a mentire agli amici, mentre Twitter aiuta a esser sinceri con gli sconosciuti. Non solo: molti si stanno chiedendo chi siano, questi «amici», e se valga la pena sopportare a lungo l'ipocrisia di quelle virgolette.

Un altro anno è andato, la sua musica è finita, cantava Francesco Guccini, gran contabile delle nostre malinconie collettive. Non è stato, ripeto, un anno inutile. È servito a distinguere il necessario dal superfluo. La società occidentale - che conta meno, ma conta ancora - è uscita dal «paradosso del progresso» descritto da Gregg Easterbrook nel 2003. Nel decennio scorso, la vita migliorava e la gente si sentiva peggio. Non è escluso che le difficoltà, da qui al 2020, ci insegnino ad organizzare, risparmiare e apprezzare ciò che abbiamo. E a costruirci un futuro.

Oggi è sabato, c'è tempo. Guardate il video «Zeitgeist 2011» messo in rete da Google. La canzone di sottofondo - deliziosa - è di Mat Kearney, il primo verso recita: «We're all standing with our backs against the wall, sooner or later», ci ritroviamo tutti con le spalle al muro, prima o poi. Be', ci siamo già. E non è necessariamente un male. Perché in quella posizione - quando non si può più arretrare - si trova la forza di reagire. O ci si arrende: ma noi non vogliamo farlo.
Zeitgeist 2011 si chiude con una scritta digitata nel campo di ricerca: «We made it», ce l'abbiamo fatta. Certo, è una semplificazione. Ma ne avremo bisogno, a partire da domani.

Beppe Severgnini
31 dicembre 2011

Tratto da
www.corriere.it

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